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Amandola – Terre in Moto 9 marzo 2017

Approfittando dell’incontro organizzato dalla rete Terre in Moto – Marche tenutosi ad Amandola il 9 marzo all’Osteria del Lago di San Ruffino, insieme ad alcuni amici, abbiamo fatto un giro della zona guidati da Davide, che vive e lavora qui. Tutto questo va a documentare e far vedere il reale stato delle cose, sopratutto nelle piccole frazioni, borghi e aziende agricole, che non hanno purtroppo nessuna risonanza mediatica, dove le persone, per lo più anziane, ma anche giovani, vivono tutti i giorni. Ci addentriamo in un territorio in cui convivono realtà in apparenza lontane fra loro, ma unite da un forte legame di comunità tipico delle zone rurali e dell’entroterra.

La giornata è bellissima, con un sole che illumina il Lago di San Ruffino e le vette imbiancate dei Monti Sibillini, un cielo terso e sgombro da nuvole. Sembra un dipinto o un’allucinazione, ma una bellezza così raffinante e perfetta era da tempo che non la notavo. Subito dopo esserci conosciuti, Davide ci guida verso la frazione di San Cristoforo, dove si notano i danni ingenti alle abitazioni. Ci guida una signora tra le case diroccate e inagibili, dove qui vive e accudisce la sua mamma di 96 anni, dentro alla ex scuola di campagna, ormai divenuta un centro di “ricovero” temporaneo. Spostandoci tra le macerie, la vista è stupenda e si scorgono le vette dei Monti della Lega in Abruzzo. Scambiando qualche parola si ha l’impressione di una tacita rassegnazione, che creare un senso di impotenza e sconforto per chi come me, ascolta. Ma riusciamo comunque e nonostante tutto a strappare un sorriso, prima di salutarci, promettendo che torneremo presto.

Ci dirigiamo verso l’Azienda Agricola “Le Spiazzette” (potete trovare e comprare nel sito tutti i loro prodotti, in particolare confertture, mele sciroppate e composti) situata ai confini del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, composta di 70 ettari di cui quasi metà tra boschi e calanchi. Il nome “Le Spiazzette”, deriva dalla leggenda che narra la discesa delle fate Sibille. La mela rosa rappresenta un prodotto sano, naturale, controllato, vero e genuino, realizzato in un ambiente incontaminato, a stretto contatto con la natura che lo protegge e lo rende ancora più buono: questi sono i prodotti le Spiazzette. E aggiungo, dopo avere assaggiato queste mele rosa, risultano veramente squisite. Subito ci si fa incontro Sabina e la figlia Martina, che ci spiegano come è la situazione a distanza di 7 mesi, ci illustrano la loro azienda e il futuro per il momento molto incerto, viste le problematiche e le inefficiente burocratiche da parte delle istituzioni preposte a tale compito. Mi colpisce fin da subito la forza e la tenacia di questa famiglia solida e al tempo stesso accogliente, come molte realtà che sto incontrando in questi mesi. Sto per partire, ma non mi sento addosso la tristezza che mi aspettavo, considerata la situazione. Sento piuttosto l’influenza positiva del vigore di questa bella realtà familiare, dell’entusiasmo della giovane Martina, pur avendo perso quasi tutto, sono ancora capaci di sognare e reagire.

Lasciandoci alle spalle i bellissimi frutteti della mela rosa, andiamo verso la Fattoria biologica della famiglia Corradini di Amandola:

“Siamo un’azienda agricola biologica a conduzione familiare, nel 1989 ci siamo trasferiti nella campagna di Amandola, luogo di nascita di Vittorio, dalla provincia di Milano. Il sogno, era quello di una vita più sana, che potesse anche salvaguardare l’ambiente intorno a noi. Da qui, e dalla passione per l’agricoltura, la scelta di creare una fattoria biologica. Nella fattoria ci sono mucche, vitelli e maiali; tutto quello che coltiviamo nei campi è biologico (certificazione IMC) e lo usiamo per l’alimentazione degli animali.”

Già questo dovrebbe farvi capire tutto o in parte, perché appena ci conosciamo entriamo subito in confidenza con Vittorio, il padre di una bella famiglia che ha scelto di vivere e lavorare nelle Marche, trasferendosi da Milano ad Amandola nel 1989. Subito mi illustra i danni alla propria abitazione, al proprio laboratorio e punto vendita, inagibile per colpa degli eventi sismici iniziati il 24 agosto. La cosa che mi ha colpito, parlando con la filai Alice, anche in questo caso, è la voglia e diritto di avere informazioni chiare e tempestive, poter capire veramente qualcosa all’interno della districata, farraginosa, lenta e a tratti imbarazzante macchina burocratica. Perché questo ne vale il loro futuro. Per capire meglio cosa è successo da quel fatidico giorno di agosto e la gestione dell’emergenza successiva, vi lascio il link dove potete leggere la lettera, scritta dalla stessa Alice, indirizzata al Presidente della Regione Marche Cerescioli, rimasta a tutt’oggi senza una risposta.

A pranzo ci fermiamo a mangiare presso la Comunità San Cristoforo ad Amandola, dove ci viene offerto un piatto di pasta, carne e insalata. La persona che mi rimane impressa è il fondatore di questa bellissima e accogliente struttura, Achille Ascari originario della Val di Non, anche lui innamorato da 40 anni, dalle bellezze delle Marche. Mi colpiscono la sua dialettica e il suo modo di parlare mai banale, migliore di gran lunga rispetto ad alcuni professori universitari incontrati in questi anni. Ci illustra tutte le attività che si svolgono all’interno della comunità, la struttura (non ha subito nessun danno, per via dell’attenta messa in sicurezza all’epoca della costruzione, usando criteri antisismici moderni e professionali), ci presenta i ragazzi accolti e ci da alcune notizie storiche e nozioni biologiche delle piante, animali e i borghi circostanti. Sembra un’isola felice, immersa in un contesto unico e ancora del tutto incontaminato, privo di qualsiasi distrazione. Grazie ad Achille Ascari e agli operatori che vi lavorano ogni giorno, questa Comunità può concretamente aiutare persone in difficoltà, che si trovino in uno stato di disagio dovuto all’abuso di alcool o di tossicodipendenza, riacquistando attraverso gli animali, la Natura e i suoi prodotti, il contatto con se stessi e con la vita.

L’ultima tappa è al Centro Ippico San Lorenzo, vicino ad Amandola. Ci viene incontro Alberto Teso e ci fa vedere i danni causati dal terremoto e dalla nevicata di gennaio, mostrandoci i magnifici cavalli ben tenuti ed accuditi, all’interno della scuderia, mentre da ad ognuno la razione di fieno per la notte. Dopo aver preso una birra al pub “La Fojetta” di Amandola e cenato insieme a Davide e gli amici all’Osteria del Lago, ci prepariamo ad ascoltare l’incontro pubblico organizzato da Terre in moto, che a breve avrà inizio.

Per capire che cosa è la rete Terre in Moto, riporto un’ottima ed emozionante riflessione, scritta da Leonardo Animali, dal titolo “Yes we can”.

“Sarebbe stato magnifico arrivarci che fosse ancora giorno in questa osteria sul lago, da cui si scorgono i Sibillini, anche se la fase di luna piena ci lascia intravedere le cime imbiancate delle creste che spezzano il buio. Ma tant’è, come da tradizione, certe riunioni si fanno di notte… Arrivano alla spicciolata, un sacco di gente, più del previsto, dicono i promotori. Nell’afflusso arriva un gruppetto, una decina circa, di persone palesemente straniere; strano, turisti da queste parti, d’inverno e col terremoto. “Sono venuti pure gli inglesi!” dice un organizzatore dell’incontro; quindi non sono turisti, concludo, ma partecipanti all’incontro. Gli “inglesi” sono i proprietari di case-vacanza acquistate in questo territorio, e che se le sono ritrovate lesionate o crollate con il terremoto; sono venuti per capire, per informarsi, per chiedere. Sono un po’ buffi, sembrano i protagonisti compassati di quei format televisivi tipo “vado a vivere in campagna” o simili. Si siedono in cerchio insieme a tutti gli altri, dopo aver preso al bancone della locanda, la tradizionale birretta, come se fossero al pub, solo che qui hanno esclusivamente Menabrea o Moretti. E’ osservandoli, così composti, integrati ed estranei al tempo stesso, che per una semplice ed illogica rimuginazione anglofona, mi viene in mente lo “yes we can” di anni fa… La riunione è quella di Terreinmoto Marche, “una rete di realtà sociali, associazioni e semplici cittadini che vogliono intervenire sul terremoto a livello informativo, comunicativo e sociale”, come si definiscono sulla pagina facebook. E alla riunione ci sono tante realtà democratiche di base, persone che col terremoto hanno perso tutto, allevatori, chi resiste in roulotte e chi è sfollato sulla costa. Con un comune obiettivo: non disperdere quel senso di comunità che ha sempre contraddistinto questo territorio, e rendersi parte attiva, direttamente coinvolta, e contraddittoria se occorre, nel processo di ripartenza e ricostruzione dopo la catastrofe del terremoto; portare a chilometro zero quella che è oggi la distanza siderale tra livelli decisori e popolazioni, nei processi e nelle scelte da compiere. Uno scopo gigantesco, considerata la situazione del territorio, già attraversato con forza dalla #strategiadellabbandono, ed i tempi e modi della politica, in giorni in cui si ripropone nuovamente una spompata visione leaderistica, che alla fine però sa tanto di concordato preventivo. Lo spirito che attraversa il salone della locanda è diverso dalla semplice solidarietà e beneficienza. Lo straordinario e generoso moto, che il dramma del terremoto ha attivato in opere ed azioni filantropiche, e di cui c’è ancora enormemente bisogno, si esaurisce al, seppur prezioso, gesto di filantropia diretta: la donazione, la raccolta fondi, l’aiuto al singolo o alla comunità. Qui c’è qualcosa d’altro, che va oltre: c’è il sentimento della solidarietà che diventa fatto politico, che attiva pratiche di partecipazione e democrazia, e che muove dalla storia, dalle problematiche non solo urgenti e recenti, di un territorio, e dei diritti chi ci vive, per nascita o per scelta; questa realtà si chiama montagna, con la sua peculiarità e specificità. Ad un certo punto entra in sala, ad incontro iniziato, Paolo. Ci riconosciamo subito, sorpresi ma fino ad un certo punto; un abbraccio forte, senza parole. L’ultima volta che siamo stati assieme è quando abbiamo dormito per più notti sui banchi del laboratorio di Scienze della Terra all’Università di Perugia, durante la Pantera, più di venticinque anni fa. Lui vive da queste parti in montagna; ci bisbigliamo un po’ di cose, quello che facciamo, dove e come viviamo, senza avere la pretesa di raccontarci nel dettaglio quello che è successo a ciascuno per un quarto di secolo, dopo che si scappava insieme da qualche manganello della Celere che sgomberava il Rettorato. Per questo ci prenderemo adesso il giusto tempo. Mi ha colpito una cosa che mi ha detto, ad un certo punto, ascoltandomi; “allora sei come noi”. Ecco, questa frase è un segno distintivo, che appartiene ad una comunità sparsa ma al tempo stesso attraversata da una forte fraternità, quella della montagna.

Chi vive in città, in pianura o sulla costa, pur sentendosi sinceramente solidale ed anche generoso con i territori segnati dal terremoto, una roba così non riesce a percepirla, perché te il terremoto non ce l’hai avuto dentro, perché qui non ci vivi e la notte non ci devi tornare a dormire. E di conseguenza per te la solidarietà esaurisce il tuo bisogno di renderti utile; ma per il popolo dell’Appennino è fisiologico che quello che vive a seguito di una condizione di straordinaria destabilizzazione, diventi ad un certo punto pratica civile e politica; perché c’è in gioco il tuo presente e il tuo domani, e sai bene che non ti puoi fidare di delegarne gli esiti e le strategie a qualcun altro che sostiene di rappresentarti.

Per questo Terreinmoto Marche è un’originale e nuova pratica di democrazia, che mette insieme senza gerarchie e appartenenze, la vita delle persone e di un territorio, per quello che sono, ancor prima di quello che potrebbero rappresentare. Da questa locanda di montagna in riva ad un lago, comprendi che qui il “si, possiamo farcela” è autentico, vero, senza filtri e opacità. Perché è un obiettivo condiviso di tanti e diversi, non il desiderata di uno per tutti.”

Daje!

Gualdo e i paesi della mia infanzia dopo il 24 agosto 2016

A distanza di oltre sei mesi da quel terribile 24 agosto, che ha scosso in maniera irreparabili sia la terra che le menti del Centro Italia, è ora di dare voce e far vedere in che condizioni versa l’entroterra marchigiano, in particolare i paesi limitrofi rispetto all’epicentro del sisma, quelli a cui i media poche volte si sono interessati.

Le foto ritraggono i comuni di Sant’angelo in Pontano, Gualdo, Penna San Giovanni e Monte San Martino tutte inserite all’interno della provincia di Macerata. Difficile a livello emotivo cercare di dare un senso a tutta questa devastazione, visto che qui passavo le mie estati e i fine settimana con mia sorella, i miei nonni e i miei genitori, ed era sempre bello tornarci per qualche fine settimana con gli amici o parenti. Partendo dal basso, cercherò di dare un contributo positivo alla ricostruzione, facendo presente lo stato attuale delle cose e mettendo soprattutto in risalto tutto quello di bello ancora è rimasto intatto o in parte agibile, combattendo strenuamente contro la strategia dell’abbandono, la quale purtroppo diventa una premessa sistemica a nuove aggressioni e speculazioni nei territori coinvolti da questa tragedia.

Questa strada la conosco a memoria, fin da quando ero piccolo, potrei farla ad occhi chiusi. Il primo paese che incontro è Sant’Angelo in Pontano, dove purtroppo noto molti danni ad edifici, molte chiese rivestite da impalcature e mentre passeggio le case vengono puntellate dai Vigili del Fuoco. Sono aperte la macelleria in Piazza Angeletti e il panificio Gallucci Luigino pronto a farti assaporare il pane, la pizza e i suoi dolci deliziosi. Passando per Saline di Penna San Giovanni e percorrendo la strada che va verso Gualdo noto gli effetti del terremoto in modo purtroppo eloquente e mi assale un senso di nostalgia e di impotenza. In questi giorni andando in giro in macchina, purtroppo devo costatare fin da subito che Gualdo ha subito forse i maggiori danni nei paesi nell’entroterra che ho visitato fino ad ora e il parroco, con le lacrime agli occhi, mi spiega che i lavori di messa in sicurezza del terremoto del 1997, erano stati completati sei mesi prima del 24 agosto 2016. Le attività purtroppo sono ferme, tranne il bar centrale e poche altre (il ristorante “Da Ciccò” è chiuso purtroppo per inagibilità dell’edificio). Mentre la speranza risiede nella nuova scuola in legno “Romolo Murri”, costruita in tempi record grazie alla generosità e la solidarietà di 3mila bresciani che si sono impegnati a trovare i fondi necessari per la costruzione. La situazione ai miei occhi sembra drammatica, soprattutto all’interno del borgo, visto inoltre lo spopolamento dei gualdesi (molti hanno trovato una sistemazione autonoma o si trovano negli alberghi della costa) e della piccola comunità di inglesi residenti da anni e innamorati a prima vista di queste colline e di questo splendido borgo ricco di storia. Trovo un edificio tra i campi coltivati con scritte fasciste datate di più di 70 anni, che il tempo e le intemperie non hanno cancellato. Inoltre qui è nato Romolo Murri, uno dei fondatori della Democrazia Cristiana. Gualdo di Macerata è un affascinante borgo medievale, con mura e resti delle numerosi torri che appartengono alle fortificazioni antiche, ed offre inoltre al visitatore una suggestiva vista sui monti Sibillini che la circondano e una bella escursione tra chiese di varie epoche ed un interessante convento francescano. Un piccolo paese di 906 abitanti, tra cui c’è Giuseppe, che incontro davanti al bar. Scambiando due chiacchiere entriamo subito in confidenza, viste anche le origini gualdesi di mio nonno. Appare ai miei occhi visibilmente spaventato ancora, ma alla fine mi confida che non ha nessuna intenzione di abbandonare il suo paese, riferendomi orgogliosamente di essere l’ex Presidente della Coldiretti ed essere stato per ben tre volte vicesindaco.

Percorrendo la strada che collega Penna San Giovanni a Gualdo, l’occhio purtroppo cade subito sulla chiesa semi distrutta di Contrada Villa Pilotti, con crolli evidenti della facciata, navata e campanile. Una ferita difficile da sanare, vista la bellezza del luogo in cui si trovava e il paesaggio circostante immutato da secoli. La stessa Penna San Giovanni, ha subito fortunatamente meno danni e alcune chiese sono agibili (Chiesa di San Giovanni Battista è aperta al pubblico), come la maggior parte delle attività, anche se sono presenti numerose persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni, vista l’inagibilità degli edifici. Riprendo la macchina e mi dirigo verso Monte San Martino, famosa in tutto il mondo per il Polittico di Carlo e Vittore Crivelli databile al 1477-1480 conservato all’interno della chiesa di San Martino vescovo. E’ un gioiello il borgo medievale, che fortunatamente noto ha subito pochi danni, che i miei occhi non vedono.

Purtroppo ho notato molta paura nei cittadini di questi borghi e un senso d’abbandono, difficile da colmare nel breve periodo in comunità piccole e con un’età media elevata. Un primo importante risultato del presidio del 22 febbraio di Terre in Moto e per chi come noi da mesi sta cercando di far sbloccare, senza arrendersi, la situazione sul fronte degli interventi: “un via libera all’unanimità quello arrivato dal Consiglio regionale delle Marche ad una risoluzione della Commissione Ambiente con cui si chiede alla Giunta di attivarsi affinchè venga riconosciuta ai Comuni terremotati la “Possibilità di disciplinare l’installazione, in aree private, di manufatti temporanei e provvisori” da rimuovere una volta terminata l’emergenza. La proposta si propone di modificare la normativa statale a riguardo e i provvedimenti inerenti dal Dipartimento della Protezione Civile.”

Ricordo l’invito a partecipare all’incontro pubblico organizzato da Terre in Moto ad Amandola il 9 marzo all’Osteria del Lago alle ore 21.00, dove si discuterà e si farà il punto in ordine alla situazione e sulle problematiche legate al sisma, anche alla luce del presidio effettuato in regione il 22 febbraio, e sulle prossime attività della rete.

Daje!