All’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, dei baldi giovani hanno avuto la forza e il coraggio di rinnovare e prendere in gestione un bellissimo rifugio a Casali di Ussita.
Si tratta di un angolo di paradiso, immerso nella natura e da farne protagonista è il massiccio del Monte Bove che sovrasta il piccolo borgo di sole nove anime.
Da qui iniziano numerosi percorsi escursionisti facilmente accessibili, che portano alla bellissima val di Panico, al Rifugio del Fargno (dove poter dormire e utilizzare come base di appoggio per le escursioni in vetta), Pizzo Berro, Pizzo Tre Vescovi, Monte Priora o infine poter partire per fare varie traversate, raggiungendo il Monte Vettore e Castellucccio di Norcia. Vi è la possibilità di mangiare, dormire (15 posti letto) e potersi rifocillare con panini e primi piatti. Ovviamente c’è il bar dove si può bere una buona grappa o il nostro immancabile Varnelli, assaporare i profumi delle specialità enogastronomiche di Visso e dintorni, oppure riscaldarsi di fronte all’accogliete fuoco camino dopo una lunga passeggiata tra i Monti Azzurri.
Per maggiori informazioni vi lascio la pagina Facebook del Rifugio Casali dove potete restare informati sulle iniziative e potersi prenotare per il pernottamento:
https://www.facebook.com/rifugiocasali
Tel: 340.4826072 (Luca Ballesi)
Per assaporare l’atmosfera di questo luogo affascinante, che si ricollega ad un mio progetto fotografico che ha come tema i “Rifugi del Cuore”, vi lascio con gli “appunti” del mio amico Leonardo Accattoli (http://www.leonardoaccattoli.it), che con semplicità e in modo diretto, ha colto attraverso la scrittura l’essenza che lo circonda, cosa molto rara e difficile nei tempi frenetici in cui viviamo. Il tempo della riflessione e del pensiero, devono assolutamente essere riportati in superficie da ognuno di noi nel nostro piccolo e la montagna e posti simili possono e contribuire in maniera positiva a farlo.
E per chi si è messo in gioco, faccio un grosso in bocca a lupo, perché se lo meritano.
“Casali di Ussita.
Nove abitanti.
Se chiedete a un casalotto in quanti vivono a Casali, lui risponde: – Nove.
Non una decina.
Non più o meno dieci.
La città è il posto per arrotondare: una decina, una ventina, più o meno, e basta così.
Quassù no.
Quassù i numeri sono importanti.
Ché il tempo per contare non manca.
Gli abitanti allora sono nove.
E ognuno ha le sue storie.
Che giustificano tutto.
Perché la vita vissuta tutta quassù, nel silenzio, deve essere piena di storie narrate, per forza ché non si giustifica da sé. Allora i casalotti se le raccontano, seduti all’ombra del castagno, oppure le lasciano ai forestieri, quelle loro storie, che tante volte sembrano vecchie già un istante più in là.
Ma quelle storie che sembrano vecchie giustificano l’immobilità dell’eterno, che si è fermato sopra al tempo, quassù in alto, ai piedi del Bove. Quelle storie sono l’unico rumore che squarcia il silenzio. Tante volte sono sempre le stesse che ritornano, ché i casalotti se lo dimenticano se te l’hanno già raccontata, ma escono fuori sempre diverse, sempre impastate, e sanno delle due del pomeriggio, a casa di mia nonna, quando avevo appena mangiato e mio nonno andava a riposare; allora mia nonna prendeva l’album di famiglia e mi mostrava le foto in bianco e nero, e mi raccontava di quel signore ritratto, e di quel matrimonio, e di quella ragazzina con il vestito bianco e i calzini di pizzo. Mi raccontava sempre le stesse storie, mia nonna, ma a me sembravano sempre diverse, e stavo lì a sentirla, che me le diceva sottovoce, perché erano le sue storie, che giustificavano la sua vita, e doveva conservarle. E poi il nonno dormiva.
Allora forse a Casali ci sono nove nonni.
Poi io l’ho sempre pensato che i nonni quando muoiono vanno a finire in montagna, e è per questo che la montagna si conserva sempre in un’epoca lontana e giusta, e ha sempre di queste storie così belle che ti fanno venire le lacrime agli occhi. Secondo me è perché ci stanno tutti i nonni del mondo, che quando se ne sono andati via da qua, sono saliti lassù.
Da una casa esce un odore di peperoni che mi fa girare la testa.
Mi siedo sulla panchina e provo a respirarlo fino a saziarmi.
C’è silenzio.
L’odore non lo squarcia, il silenzio. Non è come le storie. Lo tocca appena; come faceva l’indice di mia nonna, quando pensava che non l’ascoltassi.”