San Ginesio – “Seguendo il monito della Sibilla”

Le antiche memorie sibilline, narrate ancora oggi da vecchi analfabeti col ritmo poetico di una costruzione sapiente, servono a fare storia, a recuperare culture sommerse ma non defunte, sconfitte ma maggioritarie, diverse da quelle delle minoranze di padroni e di guerrieri; a ricostruire rapporti sociali e modi di produzione, a riannodare fili d’intelligenza creativa e di saggezza capace di tessere maturazioni e proiezioni nel futuro.” Joyce Lussu

Ho riportato interamente un bellissimo articolo di Enza Amici dal sito Globalproject.info, il quale da un’idea dell’identità culturale delle regioni colpite dal sisma e della loro importanza nel conteso nazionale. Bisogna far si che l’attenzione e il “sipario” non si chiuda e che la politica passi dalle parole ai fatti. Qualunque governo sarà, dovrà fare scelte economiche radicali, rivedendo le priorità, rinunciando a grandi opere utili solo alle speculazioni, per destinare tutte le risorse possibili alla ricostruzione e alla messa in sicurezza di tutto ciò che è rimasto in piedi

Ho inoltre presentato una serie di scatti realizzati questa estate a San Ginesio in Provincia di Macerata. Gli scatti riguardando la chiesa Collegiata, in stile romano e gotico che sovrasta la piazza di questo bellissimo borgo marchigiano, con all’interno numerosi affreschi e riferimenti massonici ben visibili. La seconda chiesa è quella di San Francesco purtroppo entrambe per il momento rese inagibili dal terremoto.

“Quei monti dell’Appennino, punto di incontro tra Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria, dove in questi mesi si sta liberando una spaventosa energia proveniente dal cuore della terra, venivano chiamati da Giacomo Leopardi “I Monti Azzurri”. Lui, il sommo Poeta, ne coglieva la luce e il colore.

Ma il loro vero nome è “Monti Sibillini”. Per chi li conosce, nessun altro nome sarebbe più appropriato.

Qui, tra le vette di montagne possenti, creste frastagliate, immense pianure e pendii mozzafiato, il mistero trasuda dall’aspra bellezza della natura, e penetra e scava e riporta in superficie sensazioni perdute.

Qui magia e leggenda, esoterismo e favole, si intrecciano da sempre in un imprevedibile connubio tra culti pagani e cristianesimo, e innervano il paesaggio del fascino del mistero. I nomi dei luoghi parlano da soli: Gola dell’Infernaccio, Pizzo del Diavolo, Valle Scura, Passo del Lupo, Passo Cattivo, Monte di Morte, Passo delle Streghe e tra gli altri il Monte Sibilla dove c’è ancora, ad oltre 2000mt, la grotta della Sibilla Appenninica.

I pastori e gli anziani ancora oggi narrano la leggenda di un regno appenninico sotterraneo e misterioso in cui vive una Sibilla saggia e benefica, le cui ancelle scendono nei paesi a valle per insegnare alle fanciulle l’arte della tessitura. Una leggenda di segno opposto descrive invece la Sibilla Appenninica come una maga potente e terribile, capace di conoscere il passato e di predire il futuro, la regina malefica di un mondo sotterraneo dove si praticano riti orgiastici di natura sessuale, ai quali partecipano giovani cavalieri che penetrano nella montagna e cadono prigionieri delle sue arti magiche.

Il mito della Regina Sibilla fu interpretato dalla scrittrice Joyce Lussu che applicò ad esso la teoria del “matriarcato primitivo” risalendo con i suoi studi ad un passato remoto, quando fioriva una civiltà danubiana che si estendeva dall’Ucraina alla Spagna, da cui avrebbe avuto origine il mito della Grande Madre mediterranea. La Lussu trascorse molto tempo i questi luoghi dell’Appennino centrale, studiando il formarsi di una società di navigatori-mercanti dediti alla pesca, all’agricoltura e agli scambi commerciali.

Queste comunità politiche, secondo i risultati delle sue ricerche, erano indipendenti e si reggevano sulla legge del matriarcato. In esse non esistevano differenze di classe e non si praticavano le guerre come mezzo di conquista. In queste comunità la Sibilla era la depositaria del sapere e delle conoscenze utili per l’agricoltura, l’allevamento e l’artigianato. La Sibilla presiedeva le assemblee, dove si discuteva l’assegnazione dei lavori, la conservazione e la distribuzione delle scorte, la salvaguardia della salute, la coltivazione e l’uso delle erbe medicinali, la difesa del territorio dagli animali selvatici e dalle razzie di avventurieri.

Le donne, le anziane, spesso tacciate di fare uso di arti magiche e stregoneria, sono state in realtà le depositarie delle ricette di medicina popolare, tramandate di generazione in generazione, per la preparazione di decotti, pomate e infusi. Ma si dedicavano alla raccolta di radici, erbe e fiori anche alchimisti e speziali che distillando quintessenze vegetali e minerali, preparavano olii essenziali e tutto ciò che ritenevano utile per curare le malattie (sicuramente da queste antiche conoscenze deriva l’abilità di produrre il famoso e buonissimo liquore alla genziana o all’anice di cui la versione industriale è il Varnelli).

Particolare attrazione ha rivestito nel tempo anche il Lago di Pilato (lago di origine glaciale situato sulla cima del monte Vettore, letteralmente spaccato dal recente terremoto), tanto da divenire in epoca medioevale meta di un continuo pellegrinaggio di maghi e negromanti, considerato anche nei secoli successivi luogo magico e misterioso. Prende infatti il suo nome da una leggenda secondo la quale nelle sue acque sarebbe finito il corpo di Ponzio Pilato condannato a morte da Tiberio. Il corpo, chiuso in un sacco, venne affidato ad un carro di bufali lasciati liberi di peregrinare senza meta e sarebbe precipitato, dopo aver percorso la Salaria, nel lago dall’affilata cresta della Cima del Redentore, scomparendo nelle profondità della terra. L’alone di mistero che attraeva su questo lago stregoni e maghi costrinse addirittura le autoritá religiose del tempo a proibirne l’accesso e a far erigere una forca, all’inizio della valle, come monito. Intorno al suo bacino furono alzati muri a secco al fine di evitare il raggiungimento delle sue acque.

Queste terre sono state per secoli “rifugio” per le popolazioni in fuga dalle invasioni barbariche prima e dalle incursioni saracene lungo la costa poi. Quando ebbe inizio la “caccia alle streghe” molti eretici Clareni, Fraticelli, Sacconi o seguaci dei Templari scelsero Montemonaco (paese fondato da monaci benedettini nell’VIII secolo alle pendici del Monte Sibilla) conosciuto per l’insofferenza verso i poteri costituiti e la diffusa liberalità. Non a caso i Sibillini sono sempre stati ricchi di acque sorgive e specie officinali utili alla pratica dell’alchimia che in questi luoghi era tollerata.

La libertà di pensiero e di azione hanno comunque resistito e consentito per secoli al territorio sibillino di mantenersi aperto alle nuove idee e di preservare le antiche tradizioni, di cui le donne erano principali portatrici, finchè verso la metà del XVII, furono inviati sulle montagne del Piceno, gruppi di monaci inquisitori per bonificarle dalla presenza del Maligno. Da allora e per tutto il seicento, scrive la Lussu, la Compagnia del Gesù tentò di operare una “damnatio memoriæ” che tuttavia non sortì il risultato sperato se ancora nel Settecento operavano a Montemonaco speziali alchimisti.

Libertà, indipendenza, organizzazione sociale e produttiva autonoma, conservazione di antichi saperi e tradizioni: attraverso la scoperta della cultura dei Sibillini si può tentare di capire quanto forte possa essere il legame di queste popolazioni con il loro territorio, quanta tenacia e determinazione possano mettere a sua difesa. Questo legame non può essere spezzato.

Qui viene custodita una sapienza arcaica, di cui la figura della donna dei Sibillini garantisce la trasmissione alle generazioni future: un anello di congiunzione tra passato, presente e futuro che preserva l’aspirazione ad una civiltà in armonia con l’ambiente naturale, in cui gli esseri umani vivono in un rapporto di reciprocità con gli elementi della natura come l’acqua e la terra, di rispetto ed unità con il paesaggio, gli animali, le piante, i frutti.

Qui si conserva un tracciato storico e culturale che travalica le mura delle città ed oltrepassa i confini nazionali per raggiungere anche il cuore dell’Europa: non è forse un caso che il patrono d’Europa sia proprio San Benedetto da Norcia.

I paesi che sono disseminati tra queste montagne, sono testimonianze vive della sedimentazione del lavoro dell’uomo, del suo impegno civile, della sua arte, delle sue tradizioni e della sua organizzazione sociale. Tutta l’area colpita dal terremoto è un museo vivente che conserva la nostra memoria storica collettiva e la rigenera, anche attraverso l’uso della forza dell’immaginazione, facendoci comprendere come essa sia stata per millenni una vera forza motrice per l’umanità, dandoci severi insegnamenti per ritrovare un rapporto con l’ambiente finalizzato ad uno sviluppo realmente sostenibile.

“Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?” Così chiedeva la Natura all’islandese in una delle Operette Morali di Leopardi. Gli abitanti dei Monti Sibillini non hanno di queste illusioni. Sanno benissimo che la vita è un “perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambeduetra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo”. Anche se di una potenza spaventosa, quello che c’è stato non è certo il primo terremoto da queste parti. I paesi e i borghi stessi portano i segni delle tante ricostruzioni passate. Qui le popolazioni lo sanno: dovranno ricostuire, pietra su pietra, ed è per questo che non se ne vogliono andare. La paura è tantissima, non ti fa dormire di notte, non ti fa più vivere un momento della giornata senza quella continua tensione dell’animale in pericolo che per istinto attiva tutti i sensi che restano ogni istante in allerta.

Il dolce paesaggio della campagna marchigiana, che degrada di collina in collina fino al mare, diventa una morsa sorda.

Eppure qui si resta, la paura diventa forza di reazione, perchè resistere è il compito che queste popolazioni si stanno assumendo per difendere un patrimonio sociale, culturale e ambientale che appartiene a tutti noi, uomini e donne d’Europa e del Mediterraneo.

Questi luoghi, che sono stati anche leopardiani, sono stati colpiti da quella forza ignara della Natura, che con convinto materialismo il poeta riconosceva come assolutamente indifferente alle sorti del genere umano e che, in forma di terremoto, ha mutilato la terra, gli esseri e le cose senza alcuna misericordia, mostrando l’onnipotenza del fenomeno naturale, la sua incoercibilità.

Da qui, però, non ce ne andiamo. Sappiamo che la Natura, il nostro poeta ce lo ha insegnato, non è né maligna, né benigna (o entrambe le cose…), ma è semplicemente Natura. Siamo noi che non viviamo più in maniera naturale. Il terremoto ci pone di fronte a una sfida: qui la terra trema e continuerà a tremare. E se la terra segue il suo movimento, noi pure dobbiamo metterci in moto e ritrovare la nostra giusta direzione.

Il terremoto ci ricorda che la Natura non si piega, non si anticipa, non si controlla. Ci dimostra che è inutile cercare la sicurezza nella stabilità perchè la destabilizzazione, gli smottamenti sono processi inevitabili.  Dobbiamo assumere il movimento, la trasformazione, e, come la ginestra del Leopardi, nutrirci delle circostanze avverse e diventare pionieri di nuova vita.  Le circostanze materiali ci impongono oggi una ridefinizione del rapporto fra soggetto e mondo naturale: se quest’ultimo si muove indifferente verso di noi, noi non possiamo più essere indifferenti verso il suo movimento. A noi tocca una scelta soggettiva, un’azione politica forte, l’attivazione da subito della “social catena”. Le terre, i territori, devono mettersi in moto. Lo stiamo facendo. Il lago di Pilato, in cima al Monte Vettore, è un monito verso chiunque volesse lavarsene le mani: quello è il foro in cui precipiterà fino alle profondità oscure della terra.  Questa volta le promesse elettorali non basteranno. Qualunque governo sarà, si troverà costretto a misurarsi con una tradizione di libertà e di indipendenza, con un carattere indomito e tenace delle popolazioni che vivono nei territori sconvolti dal terremoto.

Qualunque governo sarà, la prima cosa che dovrà fare sarà rispettare il diritto di scelta delle popolazioni colpite dal sisma: poter scegliere se sfollare sulla costa o restare è adesso la priorità. Chi sceglie di restare va sostenuto e va messo in condizione di poterlo fare, perchè solo così può essere evitato lo smembramento delle comunità che non potrebbero sopravvivere se trapiantate altrove, può essere garantita la conservazione di un patrimonio prezioso, costruito sull’intreccio di fili sottili che hanno permesso la trasmissione, da generazione in generazione, dei saperi lungo il corso del tempo. Questo significa sostenere con un reddito garantito dallo Stato tutti coloro che hanno dovuto chiudere le attività commerciali e hanno perso il lavoro, significa far ripartire tutte le produzioni che qui sono legate strettamente al territorio e con esso sono integrate, significa sostenere con fondi sociali le attività agricole e di allevamento. Questa volta non basterà uno sgravio fiscale.

Qualunque governo sarà, dovrà fare scelte economiche radicali, rivedendo le priorità, rinunciando a grandi opere utili solo alle speculazioni, per destinare tutte le risorse possibili alla ricostruzione e alla messa in sicurezza di tutto ciò che è rimasto in piedi. Solo così sarà possibile salvaguardare un patrimonio storico culturale la cui perdita sarebbe di inestimabile gravità.  Alle condizioni attuali, comunque, quella di restare e di non abbandonare i luoghi della propria vita individuale e collettiva, è assolutamente una scelta coraggiosa, eroica si potrebbe dire. Tra montagne che si sono spaccate, terreni che sono sprofondati di 70cm, caseggiati crollati, capannoni e stalle dai tetti sfondati, fiumi che hanno cambiato corso, strade che sono sparite ed una terra che continua a tremare, non è semplice rimanere e scommettere sul futuro. Ci vuole tanto coraggio e determinazione. Queste popolazioni si stanno assumendo su di sè un rischio altissimo. Ciò deve essere riconosciuto e rispettato. La politica deve riconoscerlo e assumerlo. Qualunque governo sarà, non dovrà aggiungere altri fattori che vadano ad aumentare tale rischio: non si può chiedere di più. Le trivellazioni e le escavazioni per il passaggio del gasdotto vanno fermate subito. Così come, subito, deve rientrare la decisione con la quale il governo Renzi vuole imporre la costruzione di un mega inceneritore nelle Marche.  Qualunque governo sarà, dovrà fare queste scelte e invertire la rotta. Qualunque governo sarà, altrimenti troverà la nostra resistenza. In nome della difesa del nostro territorio. Non per noi, ma per tutti. Non solo per il presente, ma per il futuro. Questo è il monito della Sibilla.”

L’imperativo è tornare sui Monti Sibillini

Fatti i conti con l’emergenza iniziale e purtroppo un inverno che non è tardato ad arrivare, con temperature in picchiata e neve fino a bassa quota, bisogna fare il bilancio dei danni che questo Demone ha portato nella mente e nel corpo nei paesi colpiti dal sisma.

Non bisogna assolutamente e categoricamente fare l’errore, che i media nazionali vogliono, di dimenticare e far calare l’attenzione nei confronti di questa tragedia che ha colpito le zone che fin da piccolo prima con mio padre, poi grazie alla passione per la fotografia e la bellezza incontaminata dei Monti Sibillini, ero solito visitare durante questi 28 anni.

Si deve assolutamente tornare nei luoghi e nei borghi anche se naturalmente saranno trasformati e sfigurati, assaporarne i profumi delle stagioni e riconoscere i profumi della nostra Terra, conoscere le persone, avere un contatto diretto con i produttori locali e infine imporsi di compare prodotti a km 0, poiché sono gli unici genuini che da secoli mantengono inalterata la filiera di produzione senza il ricorso ad agenti contaminanti esterni. La nostra Regione Marche è piana di eccellenze enogastronomiche, riconosciute a livello nazionale e internazionale. Non a caso la galleria che ho proposto, riguarda una passeggiata fatta questa estate partendo dal Rifugio Sibilla fino ad arrivare al Monte Sibilla. Al ritorno a casa, mi sono fermato a compare all’Albero della Cuccagna a Montemonaco (AP), formaggi e salumi rigorosamente della zona. Questo fa si che vi sia un legame indissolubile con il Popolo dei Sibillini, che ho avuto il piacere di conoscere in questi anni, gente dedita al lavoro, silenziosa, disponibile ed estremamente gentile.

Una Terra quella dei Sibillini ricca di miti e leggende, mulini a pietra, saperi e tradizioni antiche che si tramando da generazioni e generazioni, borghi medievali, monasteri, biblioteche e chiese stupende a livello architettonico e artistico (la chiesa Pieve di Santa Maria Assunta nella frazione di Fematre di Visso, ne è un esempio, ma ve ne sono altre innumerevoli) e dove trasuda la Storia, dove ne facevano da padrone fino a poco tempo fa le antiche “Comunanze Agrarie”. Una regola fondamentale era: “Il godimento della comune proprietà è subordinato al lavoro proprio ed è in proporzione ai bisogni della famiglia”, in cui vi era una sostanziale proprietà collettiva dei beni. Difficile determinarne l’origine storica, che per molti secoli ha resistito al variare di domini ecclesiastici, ordinamenti politici e sociali, di costumi e dottrine diverse. Questo significa che queste popolazioni fin dalle epoche più antiche fino alla fine al tardo ‘800, sono vissute amministrandosi senza un padrone, perché tutti erano proprietari , senza che né i romani prima, né lo Stato Pontificio poi avessero potuto modificare la situazione. il che significa che il popolo dei Sibillini è stato per secoli un popolo libero, che aveva fatto una scelta a misura d’uomo, in una armoniosa convivenza sociale e civile, in cui nessuno diventava ricco e allo stesso tempo non vi erano situazioni di povertà, perchè c’era la prerogativa di aiutarsi l’uno con l’altro, senza che vi fosse il pericolo che qualcuno ne rimanesse escluso.

Il professore e storico Sergio Anselmi nel volume “La Storia d’Italia. Le Regioni. Le Marche”, spiega attraverso la sua ricerca, spaziando dal medioevo sino ai nostri giorni, la situazione mezzadrile della Marchia sotto lo Stato Pontificio. Egli riprende le parole dell’allora cardinale Egidio Albornoz che da un quadro ben definito di queste zone:

“La Marchia risulta pacifica e soggetta al papa, la realtà è tale che città, feudi, repubbliche, comuni, signori, stati, mediate e subenti a Roma, non riconoscono che il proprio diritto e la propria forza (o quella del sistema di alleanze di appartenenza) salvo contingenti sottomissioni e atti di fedeltà che nelle Marche, come altrove, valgono ben poco…”

Voglio tornare al più presto nei luoghi che mi hanno aiutato a superare numerose difficoltà in questi anni, da solo, con la mia ragazza o con gli amici, che mi hanno regalato momenti stupendi impressi nella mia memoria. Passeggiate in Montagna tra boschi, paesaggi incontaminati, laghi alpini e rifugi. Voglio tornare a vedere la transumanza dei greggi al Fargno e a Castelluccio di Norcia, insieme ai tramonti e i colori stupendi che soltanto la dolcezza e la bellezza i Monti Sibillini, possono offrire.

 

La Via degli Dei, Bologna – Firenze

Dopo molto tempo di assenza forzato, per via di numerosi impegni, eccomi di nuovo a scrivere e sopratutto fotografare, sicuramente un mezzo di comunicazione ed espressione che più mi riesce facile da esercitare. Questa estate arrivata ormai alla fine dal sopraggiungere dell’autunno fatto di ricordi e dalla pioggia che ne fa da padrona, ho deciso di intraprendere un cammino a piedi e in solitaria partendo da Bologna per arrivare a Firenze, percorrendo 130 km.

L’ispirazione di questo viaggio di cinque giorni immerso nell’Appenino tosto-romagnolo l’ho avuta grazie alla lettura del libro di WuMing 2 “Il Sentiero degli Dei” (Ed. Tascabili Ediciclo 2015). Ma il motivo principale che mi ha spinto a partire e prendermi questo “momento per me stesso” è dovuto alla notte del 24 agosto ore 3.36, quando la terra ha tremato più del dovuto e molte persone hanno perso il sonno e la propria vita. Purtroppo le regioni colpite dal terremoto hanno provocato una ferita profonda e indelebile nella memoria collettiva, troppe volte colpite da eventi in cui la Natura senza il minimo preavviso provoca danni irreparabili e difficile da colmare. Sicuramente il tempo, la perseveranza delle persone che ci vivono e lavorano darannoo un grande contributo a risollevare e far riprendere la quotidianità e l’economia di queste zone, anche perché la bellezze di questi luoghi in cui vivo non devono assolutamente essere dimenticati sia dalle istituzioni, ma anche dalle migliaia di persone che ogni anno visitano i Monti Sibillini e tornano arricchiti dal fascino, dall’accoglienza e dalla bellezza di questi luoghi magici.

In un tempo in cui la distanza da Bologna – Firenze può essere di 35 minuti utilizzando i treni ad alta velocità di Trenitalia, volevo vedere la difficoltà e la bellezza allo stesso tempo, di camminare a piedi. Quello che più mi ha colpito è stato la percezione totale di quello che mi circondava, il cambiamento continuo di paesaggi ed ambienti completamente diversi, i suoni, i sapori e la conoscenza diretta di persone che vivono all’interno di questo pezzetto del centro Italia, attraversando due regioni, due provincie e quattordici comuni. Mi è capitato anche di perdere la coazione del tempo, forse dovuta alla stanchezza e ai numerosi dislivelli, la piacevolezza dei profumi, degli insetti, del raggiungere una vetta, difficilmente è descrivibile a parole.
Il sentiero è segnalato abbastanza bene attraverso le segnaletiche del CAI lungo tutto il tragitto e consiglio di completarlo in sei giorni, altrimenti si rischia di arrivare sfiniti e fare l’autostop da Fiesole a Firenze, come che mi è capitato. Consiglio inoltre di dotarsi di una cartina cartacea grazie alla quale sono arrivato senza problemi, abbandonando il gps o altri mezzi tecnologici che ovviamente facilitano, ma che secondo me fanno perdere il fascino originario di camminare.
Lungo il tragitto, abbiamo dormito in dei bellissimi B&B (il casolare “Nova Arbora” con un giardino botanico stupendo, Albergo Poli, Albergo-camping “Il Sergente”, Trattoria “Gustavo&Passalacqua” – Vino e Cucina all’usanza del tempo che fu, che consiglio a chiunque di fermarsi per conoscere il proprietario originario di Fermo e farsi un caffè con il Varnelli prima di ripartire) a prezzi molto contenuti, ma si può tranquillamente campeggiare anche in tenda. Abbiamo mangiato in osterie tipiche e caratteristiche con gestori molto simpatici e accoglienti che ci hanno deliziato di prodotti tipici toscani ed emiliani come ad esempio la pasta fatta a mano, tortellini in brodo ed altre specialità enogastronomiche locali. L’unica nota negativa di tutto l’intero cammino sono alcuni tratti fatti interamente su strada asfaltata, in particolare l’ultimo tratto di 11km che sconsiglio di percorrere a piedi, che si può aggirare facendo l’autostop (famiglia fiorentina gentilissima) o ricorrendo all’uso dei mezzi di trasporto pubblici. Inoltre fate scorta sempre di acqua che purtroppo non è presente durante il tragitto, oppure fate come me ed appellatevi alla gentilezza ed ospitalità dei gestori o gli abitanti stessi. Visto che si viaggia raramente soli, ho conosciuto molte persone durante questo cammino, tra cui ricordo con piacere un ragazzo emiliano di Riccione, un ligure e una coppia di Modena, tutti molto simpatici e con cui ho passato una piacevole serata in compagnia. Ma sopratutto le vie tranquille che hai camminato, in dolci conversazioni con il tuo amico, fermandoci sotto gli alberi, dissetandoti alle sorgenti, d’ora in poi non saranno più gli stessi e acquisteranno un nuovo fascino; quei pensieri diventeranno perenni, i tuoi amici vi cammineranno per sempre.

Le cinque tappe che consiglio a chiunque volesse intraprendere questo cammino sono state:

1. Bologna (Basilica di San Luca) – Badolo
2. Badolo – Madonna dei Fornelli
3. Madonna dei Fornelli – Monte di Fò
4. Monte di fò – San Piero a Sieve
5. San Piero a Sieve – Firenze

Duramente il cammino ci si accorge fin da subito di entrare realmente in zone che hanno segnato la storia del nostro Paese, attraverso bellissimi radure, monti, colline, campi coltivati, boschi di abeti, querce, selci, faggi e castagni secolari, raggiungendo i 1000 m di altezza. Nelle vari tappe capiterà di incontrare, fiumi, ruscelli, casolari abbandonati, il castello di Trebbio voluto da Cosimo dè Medici e dove ha soggiornato Lorenzo il Magnifico, numerosissime edicole tra i campi, un’infinità di chiese, abbazie e conventi, cimiteri della della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza, luoghi abbandonati e lasciati all’incuria come l’Badia Buonsollazo.
In vari tratti si percorre un selciato di basalto che era l’antica Flaminia Militare che risale a più di 2000 anni fa, costruita dal console Caio Flaminio nel 187 a.C. tra Bononia (Bologna) ed Arretium (Arezzo), la cui esistenza ci è unicamente tramandata da Tito Livio. La costruzione della strada è contemporanea a quella della via Emilia voluta da Marco Emilio Lepido; il suo scopo era quello di istituire una rete stradale (insieme alla via Emilia) per permettere veloci collegamenti con Ariminum (Rimini) e Arretium (Arezzo), rendere sicuri e stabili i territori emiliani e romagnoli dopo la loro conquista ai danni dei Celti e controllare, inoltre, la dorsale appenninica occupata dalle tribù liguri. Durante il medioevo fu comunque utilizzata (per esempio dai numerosi pellegrini di quel tempo che la utilizzavano come variante alla via Francigena) con modifiche al percorso dovute anche all’instabilità dei crinali.
Una delle emozioni più forti durante il cammino è stata la visita al Cimitero tedesco al Passo del Futa, con più 30.000 tombe tutte allineate e ben disposte, con alcuni soldati seppelliti senza neanche un nome. Veramente impressionante e commovente vedere una collina interamente ricoperta di ragazzi, indipendentemente dallo schieramento militare, morire per una guerra, l’unica amara consolazione è il posto in cui riposeranno in eterno. A monito di tutto ciò oltre alle bandiera italiane e quella tedesca, c’è anche quella dell’Unione Europea, che ci ricorda che non devono essere vani i 6 milioni di morti che la seconda guerra mondiale ha provocato; qui inoltre passava la Linea Gotica La linea Gotica fortificata difensiva istituita dal feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring nel 1944 nel tentativo di rallentare l’avanzata dell’esercito alleato comandato dal generale Harold Alexander verso l’Italia Settentrionale. La linea difensiva si estendeva dalla provincia di Apuania (le attuali Massa e Carrara), fino alla costa adriatica di Pesaro, seguendo un fronte di oltre 300 chilometri sui rilievi delle Alpi Apuane proseguendo verso est lungo le colline della Garfagnana, sui monti dell’Appennino modenese, l’Appennino bolognese, l’alta valle dell’Arno, quella del Tevere e l’Appennino forlivese, per finire poi sul versante adriatico negli approntamenti difensivi tra Rimini e Pesaro. In alcuni tratti è ancora visibile a distanza di 70 anni le trincee che hanno e inoltre a distanza di molti anni vengono ancora ritrovati soldati sbandati italiani, tedeschi e di altre nazionalità, insieme ad armi, bombe e reperti della seconda guerra mondiale. Una cosa che ho sentito fin da subito è l’attaccamento al movimento partigiano, sopratutto nelle osterie e nelle persone che ho incontrato, le quali ricordano con piacere chi ha contribuito in maniera determinante alle sorti della liberazione dell’Italia.

Link sito con info, mappe e B&B: Via degli dei

Vi lascio con una frase del libro dell’autore islandese Jòn Kalman Stefànsson dal titolo “Luce d’estate ed è subito notte”:

“Nel silenzio conservo l’oro; chi tace da solo e con se stesso riesce ad arrivare a qualcosa, il silenzio penetra sotto la pelle, rasserena il cuore, ammortizza il dolore, riempie la stanza in cui ti trovi, riempie la casa mentre fuori la contemporaneità si affanna, è un velocista, una macchina da corsa, un cane che rincorre la propria coda e non l’afferra mia.”

Spero che chiunque possa prendersi del “tempo per se stesso” e mettersi in cammino a piedi, sia soli che in compagnia.
A presto!

Rifugio del cuore – Casali di Ussita

All’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, dei baldi giovani hanno avuto la forza e il coraggio di rinnovare e prendere in gestione un bellissimo rifugio a Casali di Ussita.
Si tratta di un angolo di paradiso, immerso nella natura e da farne protagonista è il massiccio del Monte Bove che sovrasta il piccolo borgo di sole nove anime. (altro…)

“La faccia delle nuvole” – Erri De Luca

“In ogni nuova creatura si cercano somiglianze per vedere in lei un precedente conosciuto. Invece è meravigliosamente nuova e sconosciuta. Ogni nuova creatura ha la faccia delle nuvole.”

Bisogna essere credenti per apprezzare le storie di Erri De Luca? Bisogna conoscere, fidarsi, credere in un Dio?
No, non è necessario. Perché la storia che abbiamo tra le mani appartiene agli uomini. È la storia di un uomo che pesca sulle rive del lago Tiberiade, che vive in una terra di mezzo tra il deserto e il Mediterraneo, proprio al centro di un flusso di migrazioni che ha coinvolto nei secoli tutti i popoli della storia. Continua il dialogo tra Miriàm e Iosèf. Continua con il loro esilio in Egitto, il bambino carico di doni e di pericoli. Oro, incenso, mirra e scannatori di Erode, il Nilo e il Giordano, la falegnameria e la croce: la famiglia più raffigurata del mondo affronta lo sbaraglio prestabilito. In ogni nuova creatura si cercano somiglianze per vedere in lei un precedente conosciuto. Invece è meravigliosamente nuova e sconosciuta. Ogni nuova creatura ha la faccia delle nuvole.

L’ultimo libro di Erri De Luca, autore che leggo e amo da anni, è un manifesto alla speranza e non bisogna essere credenti per apprezzare la saggezza condensata in queste 88 pagine, bisogna essere aperti, curiosi, capaci di guardare oltre l’interpretazione corrente delle cose. La lettura di questo libro oltre a farmi riflettere sulle origini dell’immigrazione e sulla situazione attuale che coinvolge milioni di persone dal Medio Oriente all’Africa che cercano di scappare dalla miseria o da una guerra, semplicemente in cerca di una condizione di vita migliore, ci dovrebbe far riflettere che nei millenni queste ondate migratorie sono state naturali, quasi fisiologiche e impossibili da contrastare. Visto anche che una delle cause principali è data dall’aspirazione di raggiungere il benessere economico e culturale che noi occidentali abbiamo conquistato dopo due sanguinose guerre mondiali, con milioni di morti e migrazioni in cerca di un lavoro in paesi all’interno dell’Europa, ma anche negli Stati Uniti, Argentina e Australia. Erri De Luca, che ha fatto della parola il suo oggetto di studio più intenso, trasmette con poche illuminanti frasi tutta la forza eversiva della figura di Cristo, così come doveva essere parsa ai padri della Chiesa.

Detto ciò, questa lettura mi ha dato l’ispirazione di tornare a fotografare dopo un periodo forzato di astinenza; gli scatti sono stati realizzati a Montelago nel comune di Sefro, in provincia di Macerata.

 

I will be back soon!

Appena il tempo e la mia reflex me lo consentiranno, tornerò nuovamente a scattare, promesso.

“In un modo iperconesso nel quale viviamo, con notizie quotidiane che ci sconvolgono e ci riempiono costantemente di emozioni forti, difficili da gestire, la Fotografia ferma il tempo e ci porta a una riflessione più intima e privata.
Si ha il dovere morale di porsi criticamente nei confronti dello status quo, soprattutto quando le autorità esercitano il loro potere in maniera opaca e coercitiva e quando ci si scontra con la realtà, bisogna reagire e cercare di dare uno scopo e senso critico a quello ci circonda.

Perché la Fotografia in primis per me è impegno civile, politico, etico, culturale e artistico.
La Fotografia la vivo come documento, come interpretazione di quello che mi circonda, ma sopratutto come salvezza e come verità.”

Mostra fotografica – “Il cielo sopra Berlino”

Riprendendo una citazione del regista Wim Wenders e ispirandomi al film “Il cielo sopra Berlino”, vi propongo alcuni scatti tratti da un piccolo viaggio nella capitale tedesca, rigorosamente a colori.
Berlino è una città piena di arte, di vita in ogni angolo, murales ovunque, una quantità infinita di locali e pub con musica elettronica e altri generi.
Si assapora ancora, a distanza di decenni, il cuore della storia europea, con la memoria del Muro che sta a testimonianza della Guerra Fredda, combattuta da due schieramenti politici che per decenni hanno diviso il mondo in due ideologie politiche diverse.
Una città che mi ha lasciato un bellissimo ricordo, arricchita poi dai colori autunnali e che in futuro, sicuramente tornerò a visitare.

“Attraverso il mirino, colui che fotografa può uscire da sé ed essere dall’altra parte, nel mondo, può meglio comprendere, vedere meglio, sentire meglio, amare di più.” – cit. Wim Wenders

La mostra durerà da domenica 21 febbraio al 6 marzo dalle ore 18.30, presso il Terminal di Macerata durante TerminaLa e nei giorni della settimana, con ingresso libero riservato ai soci Arci.
Ringrazio Marco Cecchetti per lo spazio a disposizione e per la disponibilità.
A presto!

La mia Islanda in bianco e nero

A distanza di anni si riesce, con maggiore attenzione e con la mente sgombra, ad apprezzare meglio quello che si è fatto e tra queste cose c’è l’Islanda.
Ho cercato di fare una selezionare delle foto dando un taglio del tutto personale, includendo soltanto degli scatti realizzati e pensati in bianco e nero, molto più personali ed intimi.

“Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la forza
Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. E’ un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littrè, lui non si sbaglia mai.
E poi in caso tutti fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi.
E’ dall’altra parte della vita.”

Prefazione del libro “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline.