“…Mi scusi Presidente
ma forse noi italiani
per gli altri siamo
solo spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me vanto
gli sbatto sulla faccia
cos’è il Rinascimento.
Questo bel Paese
forse è poco saggio
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.”
(Giorgio Gaber – Io non mi sento Italiano)
Expo Milano 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita”
Non si parla d’altro da mesi e per ricordarcelo il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina del PD, in ogni telegiornale o programma televisivo ci martella i coglioni con il countdown dell’inizio di questo meraviglioso e bellissimo evento di caratura internazionale. A detta del Ministro, questa Esposizione Universale darà una nuova spinta per l’Italia e una vetrina a livello internazionale, come se potesse tale manifestazione in un solo colpo risolvere le contraddizione del mercato globalizzato e tutti i problemi della fame del mondo, con la presenza di numerose multinazionali che si contendono i grandi padiglioni, per insegnare alle nuove generazioni cosa e come mangiare.
Ma veniamo al dettaglio partendo proprio dal tema dell’Expo ovvero il cibo, con il titolo: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Non saprei come definirla se non come una presa per il culo e vi elenco anche i motivi che ho ripreso dal comitato noexpo.org, i quali sposo in pieno:
«No Expo perché “Nutrire il Pianeta-Energia per la vita” è un tema fasullo, un claim dietro cui si cela il vuoto progettuale di una metropoli senza idee e senso di sé, se non come mostro che impatta su una regione di 500 Kmq, imponendo un modello tutto auto, cemento, consumo di suolo, poli logistici, valorizzazioni immobiliari. Cosa possiamo insegnare ai contadini del Sud del Mondo, posto che loro abbiano bisogno dei nostri insegnamenti?
No Expo perché nel 2015 non si contesteranno le politiche dell’Agro-Industria, degli OGM,delle monoculture e delle sementi ibride che affamano 4/5 del Pianeta, non si parlerà di land-grabbing o di modelli alimentari imposti a chi per secoli ha vissuto mangiando e bevendo e che di colpo si ritrova senza cibo e acqua non per folli, ma per un modello di sviluppo da secoli basato sullo scippo di risorse e futuro. Un modello che le tante campagne ONU, comprese quelle che sponsorizzano Expo 2015, non hanno certo scalfito.
No Expo perché le bugie sul lavoro che verrà (70.000 posti dicevano) sono quotidianamente smentite dal modello occupazionale, che le attività, più legate all’operazione Expo, rappresentano in concreto: lavoro precario, lavoro nero, caporalato, zero diritti, poca sicurezza; è così nei cantieri, in Fiera, nei services, nei poli logistici. Sarà così anche per Expo, a conferma che a beneficiare della rassegna non saranno i cittadini (manco le metropolitane promesse…) ma speculatori, mafie, banche.
No Expo perché lo pagheremo tutti noi in termini di tagli da altre voci di spesa pubblica (vedere legge 133-2009), di beni comuni privatizzati, di territori agricoli e a parco devastati. Come in tutti gli scenari da shock economy, Expo alimenta un meccanismo, peraltro già consolidato a Milano, di gentrificazione e privatizzazione, con spoliazione e trasferimento di ricchezza dal Pubblico agli interessi di pochi soggetti privati, a scapito dei bisogni della collettività e dei diritti dell’abitare.
No Expo perché è insostenibile per Milano,per l’Italia, dentro la crisi. Non possono permetterselo Enti Locali al collasso, né un Paese sull’orlo del crack finanziario. Expo è un lusso che rischiamo di pagare pesantemente anche in termini di debiti futuri. Quante volumetrie prometteranno ai finanziatori di Expo? O quali altri business per ricompensarli?»
I vantaggi concreti che potrebbe apportare l’Expo di Milano al PIL italiano non ve ne sono, o semmai sono minini, rispetto alle grandi speculazioni finanziarie che andranno ad arricchire chi ha contribuito a devastare la regione Lombardia e Milano negli ultimi decenni. Anche perchè nell’era del web 3.0, gli Expo sono residui di un’epoca finita che, salvo rare eccezioni particolari (vedi Shangai), si risolvono in un flop economico-partecipativo, lasciando macerie sui territori come nel caso di Siviglia, Saragozza e la celebrazione del centenraio dell’Unificazione dell’Italia a Torino nel 1961. In quest’ultimo caso la riqualificazione degli spazi è avvenuta a distanza di 30 anni, mentre alcuni luoghi sono ancora tutt’oggi lasciati senza nessuna collocazione.
Poi per quanto riguarda gli scandali giudiziari su tangenti e turbativa di asta, già presenti e quelli futuri, va solo fatto presente che per quanto riguarda gli appalti per la realizzazione dell’esposizione sono stati oggetto di un’indagine della magistratura milanese, la quale ha condotto a numerosi arresti tra cui Antonio Acerbo, ex responsabile del Padiglione Italia.
Dopo questa critica doverosa nei confronti dell’Expo, veniamo al reportage fotografico che ho realizzato recentemente, che ha come tema centrale i lavori tradizionali marchigiani il quale va ad integrare il lavoro iniziato un anno fa. Premetto che le immagini potrebbero risultare molto forti e d’impatto.
Bisogna avere una percezione diversa per quanto riguarda il tema del cibo e della nutrizione, ritornare lentamente e in modo graduale ad apprezzare le realtà contadine e gli antichi saperi, valori, odori, profumi e tradizioni che il mercato odierno tende a toglierci del tutto, in parte a causa dalla globalizzazione e delle multinazionali che producono prodotti pre-confezionati presenti nei grandi centri commerciali, usa e getta, provenienti da tutto il mondo e disponibile in qualsiasi stagione. Tutto ciò può avere dei lati positivi nel breve periodo, ma si uccide quella che è la nostra tradizione secolare contadina privilegiando la produzione a livello industriale.
Dai miei nonni avevo sempre sentito parlare della “Pista” di maiale, ma purtroppo non avevo mai assistito personalmente a questa usanza, anche perchè sono poche le persone che hanno preservato questa tradizione, per lo più anziane.
Oggi si tende a fare la “pista” più per una questione di gusto che di sopravvivenza, sono sempre meno le famiglie che preparano il maiale ed è oramai più un ricordo che un’abitudine. Una volta, nel passato anche prossimo, era considerata come una necessità per alcune famiglie, in quanto la carne di suino era una vera e propria provvista per i mesi a venire, in particolare durante i mesi freddi dell’inverno. Il maiale di solito, si assaggia il giorno stesso della pista, quando vengono cotti lo spezzatino e la carne dei salami con cui si condisce la pasta. Poi, bisogna aspettare un paio di giorni per poter mangiare la coppa, mentre gli altri prodotti hanno una stagionatura diversa, la più lunga è quella del prosciutto.
La pista del maiale è un’esperienza che andrebbe vissuta da tutti almeno una volta nella vita, per tenere vive le tradizioni della nostra terra, e per il piacere di provare, quando pronti, prodotti che portano ancora il sapore e il gusto di una volta, difficilmente riproducibili con prodotti industriali che risultano facilmente reperibili. Fortunatamente ci sono ancora persone appassionate che tengono viva questa tradizione. Il compito di noi giovani è quello di imparare quest’arte e preservarla e ricordando che, senza una memoria grata della storia, non c’è futuro possibile.
Potete trovare la galleria completa nella sezione Portfolio al seguente link: https://www.gentilimarco.com/wordpress/art-1-costituzione-italiana