Purtroppo sono di ritorno da ormai una settimana dalla mia avventura di dieci giorni in Islanda in solitario e già ne sento enormemente la mancanza.
Come spesso accade quando si ha la fortuna di vivere esperienze così distanti dalla nostra ordinaria vita quotidiana in alcuni momenti quasi stento a credere di esserci stato davvero, come se fosse stato un sogno. E’ stata un’esperienza unica e difficilmente riuscirò a descriverla a parole, ma spero che le fotografie che ho portato a casa rendano giustizia a un posto unico al mondo e ancora fortunatamente incontaminato e selvaggio.
Ho scelto di partire in inverno perchè pensavo di trovare meno turisti invece mi sono dovuto ricredere, infatti durante il viaggio ho conosciuto molte persone islandesi e turisti provenienti da tutte le parti del mondo (una decina di italiani, di cui 2 si sono spinti anche a nord) in cerca forse di un pò di tranquillità, avventura e spazi aperti dove poter ritrovarsi. Sono stati dieci giorni meravigliosi e devo ammettere che essendo la priva volta in solitario, inizialmente l’idea mi spaventata, ma passate le prime ore e dopo aver preso dimestichezza con il mio Suzuki 4×4 il tempo è volato via, senza neanche accorgermi dei 1.300 km percorsi e delle ore di silenzio interrotte dal vento o dalla musica. Mi sono spinto nell’entroterra fino ad arrivare al cosiddetto “Circolo d’Oro”, ovvero le cascate di Gulfoss, Geysir e il parco naturale di Þingvellir per poi dirigermi verso la parte sud-occidentale dell’isola, percorrendo la Road One partendo dalla capitale Reykjavik raggiungendo i piccoli villagi di Selfoss, Vìk, la laguna dello Jökulsárlón e infine Höfn. Reykjavik è rinomata per il runtur a cui ho partecipato un venerdi e il sabato sera, dove gli islandesi di tutte le età, terminata la giornata lavorativa, si riversano con entusiasmo nei locali e pub della città per bere birra fino alle prime luci dell’alba.
L’Islanda è un susseguirsi di paesaggi che cambiano velocemente nell’arco anche di pochi kilomentri e la stessa cosa vale per il clima, il quale può cambiare nel giro di pochi minuti tramutando una giornata stupenda in una bufera di neve o pioggia. Ma una cosa è certa ed è sempre presente e costante e non ti abbandona mai, sto parlando delle raffiche di vento, una cosa allucinante che ha quasi distrutto uno sportello della macchina.
Percorrendo la Road one si ha la netta sensazione di un senso di libertà e al tempo stesso di desolazione, poichè per decine di kilomentri è probabile che non si incontri ne abitazioni e alcuna presenza umana, ma soltanto qualche pony islandese, rendendo questo posto al di fuori della nostra percezione e distante anni luce dalla nostra vita quotidiana.
Sinceramente mi risulterebbe difficile vivere ed adattarmi in un luogo inospitale e selvaggio come l’Islanda, con solo 6-7 ore in inverno di luce, visto che il sole si alza poco sopra l’orizzonte per via della latitudine per tutta la giornata. Devo ammettere che le temperature me le aspettavo molto più rigide, infatti oscillavano tra i -5° e +3° durante il giorno, soltanto che il vento incessante amplificava di molto la sensazione di freddo. Percorrendo la Road one si possono osservare paesaggi incontaminati come ad esempio brughiere, lagune di ghiaccio, cascate, vulcani, spiagge, montagne innevate, ghiacciai e desolazioni che lasciano senza fiato e al tempo stesso leggermente disorientati. Un vero paradiso e non a caso è definita la “Terra del fuoco e del Ghiaggio”!
Porto sempre con me durante i viaggi un libro e in questo caso non poteva che essere “I vagabondi del Dharma” di Jack Korouac letto nei momenti di tempo brutto, e ce ne sono stati parecchi. Mi ha colpito particolarmente uno dei ultimi passi del libro, che voglio condividere:
“Il mondo era sospeso a testa in giù in un oceano di spazio infinito e c’era tutta quella gente seduta nei cinema a guardare film, laggiù nel mondo dove sarei tornato… Passeggiando avanti e indietro davanti alla baracca al crepuscolo, cantando Wee Small Hours, quando arrivano al verso «when the whole wide world is fast asleep» mi si riempivano gli occhi di lacrime. «Okay mondo» dicevo, «ti amerò.». Sdraiato di notte, caldo e felice nel mio sacco a pelo, vedevo il mio tavolo e i miei abiti alla luce della luna e pensavo: “Povero caro Raymond, la sua giornata è così triste e tormentata, le sue ragioni sono così vane, è talmente penoso e angoscioso dover vivere” e con questi pensieri mi addormentavo come un agnellino. Siamo forse angeli caduti che si sono rifiutati di credere che nulla è nulla e perciò, per averne la prova, siamo nati per perdere uno dopo l’altro i nostri cari e gli amici preferiti e infine la nostra stessa vita? … Ma il freddo mattino sarebbe risorto, con le nuvole sprigionate da Lightning Gorge come pennacchi giganteschi di fumo, il lago là sotto sempre ceruleo e indifferente, e lo spazio vuoto lo stesso di sempre. O denti serrati della terra, dove ci poterà tutto questo se non a qualche dolce eternità dorata, per provare che ci siamo tutti sbagliati, per provare che la prova stessa era nulla.”
Il senso di libertà e di bellezza di questi posti indimenticabili rimarrà sempre vivo dentro di me e sicuramente un giorno non lontano ci tornerò per completare l’anello. Penso di organizzare una mostra, per poter condividere e far conoscere a chiunque questa fantastica Terra.
A presto!